[ARTICOLO DELL’AVV. FEDERICO DEPETRIS DEL 29.11.2019 PUBBLICATO SU NUOVA SOCIETA’ NELLA RUBRICA AEQUITAS – L’ARTICOLO ORIGINALE E’ DISPONIBILE QUI ]

Può accadere che in seguito ad un grave sinistro stradale, un errore medico, un’aggressione etc. derivino lesioni che possono compromettere in tutto od in parte la capacità lavorativa del danneggiato.

Ad esempio una grave frattura con conseguente offesa permanente dell’arto di una persona che svolge, in via autonoma, attività manuali (edilizia, fabbro, fattorino etc.) può compromettere gravemente la capacità reddituale del danneggiato.

In questo articolo vedremo brevemente cos’è il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa e come può essere quantificato secondo gli orientamenti più recenti della giurisprudenza.

Il danno patrimoniale di cui si discute è stato così definito dalla Corte di Cassazione: “Il danno patrimoniale da perdita della capacita’ di lavoro e di guadagno e’ un danno permanente, nella sua efficacia lesiva proiettato in futuro, essendo destinato a riprodursi anno per anno, per tutta la vita lavorativa della vittima: in quanto pregiudizio futuro, esso deve essere valutato su base prognostica anche a mezzo di presunzioni semplici, salva la determinazione equitativa, in assenza di prova certa del suo ammontare (ex plurimis, Cass. 23/09/2014, n. 2003; Cass. 14/11/2013, n. 25634).” (Cass. 10499/2017).

La formula per il calcolo della perdita di capacità lavorativa è la seguente: R (reddito) x C (coefficiente di capitalizzazione) x P (perdita capacità lavorativa specifica in percentuale) – S (scarto tra la vita fisica e quella lavorativa, pari al 10%).

Circa il coefficiente di capitalizzazione da applicarsi, deve essere osservato come non si possa fare riferimento ai coefficienti di cui al di cui al R.d. n. 1403 del 1922. Essi infatti non sono più conferenti con la realtà attuale, decisamente modificatasi dal 1922 essendo passato un secolo dalla loro formulazione.

Il predetto principio è stato anche fatto proprio dalla Corte di Cassazione: «D’altro canto, come ripetutamente affermato da questa Corte, i coefficienti di capitalizzazione approvati con il Regio Decreto n. 1403 del 1922, non assicurano l’integrale ristoro del danno permanente da incapacita’ di guadagno, ne’ la loro adozione e’ consentita neppure in via equitativa ex articolo 1226 c.c.. (da ultimo, con diffusa ed esaustiva motivazione, Cass. 14/10/2015, n. 20615). I suddetti coefficienti, infatti, sono stati elaborati sulla base delle tavole di mortalita’ ricavate dal censimento della popolazione italiana del 1911 (con riguardo cioe’ ad una speranza di vita inferiore di oltre un terzo a quella attuale) e di un saggio di produttivita’ del denaro (indicante la misura del risarcimento che viene detratta per tenere conto della anticipata capitalizzazione rispetto all’epoca futura in cui il danno si sarebbe effettivamente verificato) del 4,50%, superiore (e non di poco) ai rendimenti traibili oggigiorno dall’impiego di capitale: per effetto dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, dunque, l’applicazione dei criteri ex Regio Decreto n. 1403 del 1922, determinerebbe una impropria ed ingiustificata decurtazione dell’importo risarcitorio» (Ex multis Cass. 10499/2017)

Il coefficente utilizzato per il calcolo del danno da perdita di capacità lavorativa (e quindi di guadagno) viene solitamente ricavato dai coefficienti indicati negli Atti dell’incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno – 1 luglio 1989 (in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss.).

Il risultato che si ottiene applicando la formula matematica sopra illustrata costituisce unicamente una base di partenza, per l’effettiva individuazione del danno da perdita permanente di capacità lavorativa la cui quantificazione dovrà essere eseguita tenendo conto anche di altre viariabili quali, ad esempio, il presumibile aumento annuale del reddito, da valutarsi in via prognostica ed in via equitativa.

Infatti circa la determinazione del danno da risarcirsi per la perdita di guadagno, la Cassazione ha chiarito che: «il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica, in applicazione del principio dell’integralità del risarcimento sancito dall’artt. 1223 c.c., deve essere liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano». ( Cfr. Cass. 10499/2017).

Quindi nel determinare il danno da perdita della capacità lavorativa, si dovrà altresì tenere conto della possibile progressione del reddito del danneggiato.

Avv. Federico Depetris

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