[Articolo apparso su Il Primato Nazionale del 18.02.2018. L’articolo originale si trova qui.]

Roma, 18 feb – Dopo l’ennesima strage compiuta in un liceo della Florida lo scorso 14 febbraio da parte di un squilibrato che ha assassinato diciassette persone, anche nella campagna elettorale italiana ha fatto il suo ingresso il tema del possesso e detenzione delle armi da fuoco. Negli Stati Uniti, dopo ogni insensata strage, una parte dell’opinione pubblica, supportata da associazioni vicine al Partito democratico, inizia a chiedere l’introduzione di restrizioni circa la detenzione ed il possesso delle armi da fuoco. Molto spesso il dibattito si svolge su di un piano prettamente emotivo o comunque fortemente ideologizzato. Se si considerano, poi, le semplificazioni ed il duello a colpi di slogan (di basso livello) a cui dobbiamo assistere in Italia ogni qual volta ci troviamo a confrontarci con episodi come quello accaduto a Parkland, pare opportuno provare a fare un pò di chiarezza sul tema.

QUESTA NON È L’AMERICA – L’Italia non è gli Stati Uniti. Dirlo è un’ovvietà, ma è bene ripeterlo ed averlo bene a mente. In Italia l’acquisto di un’arma è sicuramente più complesso che negli Stati Uniti, anche se pure lì non si deve pensare che le armi si acquistino “al supermercato” e senza controlli, come viene spesso detto. Inoltre, qui da noi non è ammessa la detenzione di armi da fuoco automatiche (le armi automatiche che vengono vendute sono trasformate in semi-automatiche). In Italia, ovviamente, non è costituzionalizzato il diritto a detenere armi da fuoco, cosa che invece è presente nel II emendamento della Costituzione americana. Storicamente, la codificazione del diritto a detenere armi da fuoco negli Usa si spiega con la nascita stessa dello stato nordamericano: i coloni, stufi di essere vessati dall’Inghilterra ed avendo ormai maturato una propria identità nazionale, imbracciarono le armi che avevano a disposizione conquistando l’indipendenza dalla Corona inglese. Se non ci fossero state le armi non sarebbero esistiti gli Stati uniti.

A voler portare il discorso ad un maggior livello di approfondimento, non ci si può esimere dal notare come “tradizionalmente” (si pensi alle diete dell’alto medioevo, discendenti dirette delle antiche assemblee germaniche) gli uomini liberi, ossia coloro i quali godevano della pienezza dei loro diritti, erano coloro che portavano le armi. L’esempio più emblematico è rappresentato dalla legge longobarda: i ragazzi divenivano uomini quando raggiungevano la fase adulta e potevano così possedere le armi e partecipare alle assemblee convocate dai duchi, dai principi etc. L’uomo libero, quindi, è per definizione “armato”. Tuttavia questo nobile, e per certi versi ancora attuale, concetto ha finito negli Usa col saldarsi con la cultura fortemente individualista e antistatalista di cui è permeata la Confederazione nordamericana. Ecco allora che essere armati, in America, non significa più potersi difendere dagli aggressori esterni: essere armati per loro significa potersi difendere dalla tirannide dei propri governi centralizzati. Così il “portare le armi”, invece che rappresentare – come dovrebbe essere – l’assunzione dell’impegno a difendere la propria famiglia, il proprio villaggio, il proprio clan, la propria Nazione, si è involuta in una forma di individualismo, così snaturandosi.

IL MODELLO SVIZZERO – La Svizzera è forse lo stato col maggior numero, in proporzione, di cittadini armati. La Confederazione elvetica intende difendere la propria indipendenza e sovranità ad ogni costo, anche ricorrendo, se necessario, all’aiuto e supporto dei propri cittadini che all’occorrenza possono trasformarsi in “franchi tiratori”. In Svizzera il diritto-dovere alla detenzione delle armi da fuoco pare conservare quella sua funzione “tradizionale” di difesa della comunità a cui si accennava poco sopra, che invece il II emendamento americano ha infine perso.

È necessario dire chiaramente che, in ogni caso, la diffusione delle armi da fuoco regolarmente detenute non determina un aumento della commissione di fatti criminali. Chi delinque abitualmente non lo fa certamente adoperando le armi regolarmente denunciate, anche nei casi in cui ne sia regolarmente detentore. Peraltro immaginare che un delinquente abituale e di professione abbia armi regolarmente detenute è più che altro un esempio di scuola: per possedere armi da fuoco in Italia è infatti necessario non avere precedenti penali. I delinquenti abituali, i terroristi ed i membri della criminalità organizzata si riforniscono di armi in un prolifico mercato nero. Per poche centinaia di euro in una qualsiasi città italiana è di fatto possibile acquistare fucili automatici provenienti dagli arsenali delle disciolte repubbliche socialiste dell’est europa o acquistare pistole per poche decine di euro.

Peraltro si noterà come le stragi che periodicamente avvengono negli Usa siano di fatto una prerogativa esclusivamente americana. In Svizzera, dove pure le armi sono presenti nel 70% delle case, non si registrano mattanze nelle scuole. L’impressione è che l’origine dei fenomeni come quello del 14 febbraio scorso vada sì ricercato nella società americana, ma non nella “cultura” delle armi e, più in generale, nel rapporto tra gli statunitensi e le armi da fuoco.
Quindi, riassumendo, impedire ai privati di detenere armi non ridurrebbe in nessun modo la commissione di crimini. Ne è un esempio la legislazione britannica, dove le armi sono pressoché interdette del tutto ai privati eppure crimini efferati ed atti terroristici vengono comunque commessi.

L’impressione è che la richiesta, spesso avanzata dall’opinione pubblica di “sinistra”, di completo disarmo dei privati, sia dettata più da un odio verso l’arma in sé e verso ciò che l’arma può rappresentare, piuttosto che da motivazioni di ordine pubblico concrete e verificabili. L’arma è infatti emblema di “virilità” per eccellenza ed in una società “de-virilizzata”, dove non vi è spazio per nessun slancio vitalistico e dove si è educati “all’impotenza”, per la armi non può esserci alcuno spazio.

UOMINI, ARMI, STATO – La detenzione di armi da fuoco da parte di cittadini privati può essere consentita da uno Stato organico? La risposta può essere certamente positiva, con alcune doverose precisazioni.

Lo Stato organico, a differenza di quello liberale, rivendica l’esclusivo diritto all’uso della “forza” per il mantenimento dell’ordine pubblico, sociale ed economico e per la difesa della sovranità nazionale. Le armi in mano ai privati potrebbero essere potenzialmente adoperate per impedire allo Stato l’esercizio delle sue prerogative, in quanto potrebbero essere utilizzate a difesa di interessi particolaristici ed egoistici confliggenti con quelli comunitari.

Una posizione di compromesso però è possibile e doverosa, richiamandosi proprio al concetto “tradizionale” di porto delle armi a cui si è accennato più sopra. Il loro possesso da parte di cittadini che si ritengono parte integrante della propria comunità nazionale e di destino non può che rafforzare lo Stato invece che indebolirlo: in ogni casa vi sono uomini e donne pronti a difendere la propria comunità, la propria identità ed il proprio Stato da qualsivoglia invasore esterno e da ogni tentativo finalizzato a privare lo Stato stesso della propria sovranità. In uno Stato organico pienamente realizzato, infatti, non vi è posto per alcuna logica “dualistica” Stato-Individuo, verificandosi al contrario una piena e perfetta integrazione tra la dimensione collettiva-comunitaria e quella individuale e quindi il singolo cittadino avrà il dovere e la responsabilità di resistere alle ingerenze che dovessero provenire dall’esterno dello Stato.

UNA NUOVA LEGISLAZIONE – In termini pratici quanto qui detto potrebbe declinarsi in una legislazione volta a disincentivare il porto d’armi incondizionato e libero (ossia la possibilità di girare armati per le nostre città), ma favorevole al riconoscimento del diritto (per le persone coi giusti requisiti) a detenere armi da fuoco e a portarle con seper recarsi nei poligoni, responsabilizzando i cittadini sull’impegno che essi comunque assumono nel momento in cui acquistano e posseggono un’arma da fuoco.

Al di là delle semplificazioni e delle contrapposizioni ideologiche, qual è la reale situazione in Italia circa il possesso e la detenzione delle armi? Cosa si può modificare e come? Non è questa la sede per una disamina analitica delle differenze tra detenzione e porto di arma da fuoco e, in più in particolare, tra le varie forme di porto d’armi previste e disciplinate dalla nostra normativa. E’ importante, invece, mettere in evidenza alcune vere e proprie assurdità che caratterizzano la nostra normativa in materia di armi che dovrebbero essere del tutto superate.

Oggi ottenere un comunissmo porto d’armi c.d. “ad uso sportivo”, è relativamente facile. E’ sufficiente infatti ottenere un certificato d’uso e maneggio, fare un paio di visite mediche (dal proprio medico di base e poi da un medico militare) e presentare la domanda alla Questura territorialmente competente.

Come si ottiene il certificato di uso e maneggio di armi da fuoco? Semplicemente seguendo poche ore di un corso teorico circa il maneggio in sicurezza e poi superando una prova pratica di tiro. Se poi si passa il vaglio della Questura il gioco è praticamente fatto.

Il difficile, se vogliamo, arriva dopo aver ottenuto il porto d’armi. Da quel momento, o meglio da quando si acquista un’arma, inizia un vero e proprio calvario fatto di rispetto di minuziose e spesso illogiche regole sul numero di armi che si possono detenere, numero di munizioni, modalità di detenzione etc…

A ben vedere dovrebbe funzionare tutto al contrario: maggior complessità nell’ottenere il porto d’armi e poi meno regole inutili sul numero delle armi che si possono acquistare e sul numero di munizioni che si possono detenere. Maggior complessità nel poter ottenere il porto d’armi non significa porre a carico del cittadino che richiede la licenza adempimenti burocratici inutili, cavillosi e costosi, ma significa assicurarsi che il soggetto che ottiene il porto sia poi effettivamente in grado di maneggiare in sicurezza un’arma, sia in grado di effettuarne la manutenzione ordinaria, conosca le regole basilari sul tiro e sia, effettivamente, sano di mente. Sarebbe sufficiente per ottenere tutto questo subordinare la concessione del certificato di uso e maneggio delle armi da fuoco alla partecipazione ad un corso che non si esaurisca in una manciata di ore, ma che preveda più sessioni di poligono in presenza di commissari di tiro ed istruttori qualificati, smontaggio e rimontaggio delle armi da fuoco, insegnamento delle basilari regole di sicurezza e verifica del loro rispetto durante le sessioni di tiro etc. La visita medica, infine, non può ridursi alla mera presa d’atto da parte del medico militare del certificato anamnestico del medico di base, il quale si è limitato a riportare quanto dichiarato direttamente dal richiedente. Viene chiesto, ad esempio, durante la visita se si è soggetti a disturbi psichiatrici, basta rispondere di “no” e si ottiene il porto d’armi. Andrebbe effettuata, al contrario, un’effettiva verifica della salute mentale del richiedente, superata la quale può essere fornito un parere favorevole alla concessione della licenza da parte del medico.

Una volta ottenuto il certificato di maneggio delle armi da fuoco e superata la visita psichiatrica e quindi ottenuta la licenza da parte della Pubblica autorità competente, non si vede come mai il possessore debba essere poi costretto al rispetto di inutili limitazioni nella detenzione delle armi e sul munizionamento oppure essere comunque soggetto all’arbitrio della Questura e quindi soggiacere al rispetto di cavillose regole burocratiche prive di effettiva utilità, se non quella, non dichiarata, di scoraggiare la detenzione di armi.

C’è un aspetto dell’attuale legislazione sulle armi da fuoco che lascia particolarmente perplessi e che necessiterebbe di un correttivo: l’eccessiva discrezionalità riconosciuta alla Questura nel concedere le licenze. E’ sufficiente avere un precedente penale per un reato bagatellare oppure avere anche solo un precedente di polizia per vedersi rigettata la domanda di porto d’armi oppure vedersi revocato il porto già ottenuto. La casistica offre un quadro inquietante: basta un litigio con un vicino oppure una separazione burrascosa a cui segue un querela per minacce fondata su fatti falsi e indimostrati per vedersi revocato il porto. Questo arbitrio da parte della forze di pubblica sicurezza non può essere avvallato in nessun modo.

Sono doverose in conclusione alcune brevi parole sulle iniziative assunte dall’Unione europea.
L’attuale legislazione italiana, infatti, deve confrontarsi con quella europea. L’Unione europea sta promuovendo, con la famosa Direttiva 477, una politica disarmista ingiustificata e pericolosa contro cui è doveroso prendere una posizione contraria, proprio nell’ottica a cui sopra si accennava: avere le nostre armi è un modo di difendere la nostra sovranità ed indipendenza. L’Europa vuole i popoli disarmati e privi di sovranità, quella sovranità che la nostra Costituzione indica chiaramente appartenga al popolo ed al popolo soltanto.

Federico Depetris

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